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mercoledì 14 marzo 2012

L'arte di correre - Haruki Murakami 2007


Una riflessione sul talento, sulla creatività e più in generale sulla condizione umana; l'autoritratto di uno scrittore-maratoneta, di un uomo di straordinaria determinazione, di profonda consapevolezza – dei propri limiti come delle proprie capacità –, di maniacale autodisciplina nel sottoporre il proprio fisico al duro esercizio della corsa; e non da ultimo la sorpresa di scoprire che un autore celebrato per la potenza della sua fantasia sia in realtà una natura estremamente metodica, ordinata, agli antipodi dello stereotipo dell'artista tutto “genio e sregolatezza”.

<<Come in tutti i romanzi di Murakami, la voce narrante convince per schiettezza e vivacità, e una volta conclusa la lettura si resta incantati dalla sua grazia semplice e genuina.>>

The Observer”


NOTE A MARGINE


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Pain is inevitable. Suffering is optional.
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Già, a cosa penso mentre corro? Se devo essere sincero, non me lo ricordo nemmeno io. Nei giorni freddi, in una certa misura penso al freddo. Nei giorni caldi, al caldo. Quando sono triste, alla mia tristezza, quando sono contento, alla mia allegria. In una certa misura. Come ho già scritto, mi succede anche di tornare con la mente ad avvenimenti passati, così, senza nesso logico. A volte, ma accade di rado, mi vengono delle idee per i libri che scrivo. Tuttavia posso affermare che non ho pensieri davvero coerenti. Quando corro, semplicemente corro. In teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto. In quella sospensione spazio-temporale, pensieri ogni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio cervello. E' naturale, perchè nell'animo umano non può esistere il vuoto assoluto. Il nostro spirito non è abbastanza forte per concepire il nulla, e inoltre non è coerente. Insomma, i pensieri che si avvicendano nella mia mente mentre corro sono semplicemente dei derivati del nulla, tutto lì. Si formano ruotando intorno al nulla. Somigliano alle nuvole che vagano nel cielo. Nuvole di grandezza e forma diverse che arrivano, e se ne vanno, semplici ospiti di passaggio. Ciò che resta è soltanto il cielo, che è sempre lo stesso. Che è qualcosa che esiste, e al tempo stesso non esiste. Che ha una sostanza e al tempo stesso non ne ha. Noi non possiamo fare altro che constatare la situazione - l'esistenza di quell'immenso contenitore - e accettarla.
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Le ferite spirituali non rimarginate sono il prezzo che gli essere umani devono pagare per la propria indipendenza.


RECENSIONE
Libro strano, credo dica molto più su Murakami che sulla corsa. O almeno io l'ho ricevuto come una sorta di autoanalisi in cui emerge il ritratto di uno scrittore-maratoneta.

Correre una maratona è un’impresa estremamente ardua e faticosa.

E il sottoporsi a questo tipo di intensa attività fisica, in cui la fatica è una realtà ineluttabile, si trasforma nella vita di uno scrittore in una strategia di sopravvivenza.
Perché la scrittura è un atto creativo che estrapola storie dal nulla, consentendo loro di reggersi su un delicato gioco di equilibri tra frasi e parole. Ma in essa si nasconde soprattutto un’invisibile insidia: la sua sostanziale tossicità.
Scrivere si rivela pertanto un gesto malsano e antisociale, che deve essere eseguito con estrema abilità e circospezione. Ed è di fondamentale importanza trovare il modo di rendersi immuni alla sua pericolosità, neutralizzando quell’elemento tossico sotteso che si rivelerebbe, altrimenti, fatale.
Per Murakami Haruki correre è l’escamotage attraverso cui sfuggire al proprio corrosivo isolamento interiore e agli effetti nocivi della sedentarietà che ne deriverebbe.
L’atto meccanico della corsa, nella sua banale ripetitività, è il mezzo che conduce alla comprensione del significato di tutte le cose che, in condizioni normali, scivolerebbe via inosservato: correre per non pensare a niente, e permettere infine all’intuizione più profonda di emergere dal proprio silenzio interiore.
E’ inevitabile, per l’autore, evidenziare le assonanze che accomunano la corsa e la scrittura: entrambe richiedono un’inconsueta determinazione, una maniacale autodisciplina e la presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità.
E se la scrittura è l’obiettivo ultimo, la corsa ne diverrà il mantra.

Se non altro, fino alla fine non ho camminato. 

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