Una
riflessione sul talento, sulla creatività e più in generale sulla
condizione umana; l'autoritratto di uno scrittore-maratoneta, di un
uomo di straordinaria determinazione, di profonda consapevolezza –
dei propri limiti come delle proprie capacità –, di maniacale
autodisciplina nel sottoporre il proprio fisico al duro esercizio
della corsa; e non da ultimo la sorpresa di scoprire che un autore
celebrato per la potenza della sua fantasia sia in realtà una
natura estremamente metodica, ordinata, agli antipodi dello
stereotipo dell'artista tutto “genio e sregolatezza”.
<<Come
in tutti i romanzi di Murakami, la voce narrante convince per
schiettezza e vivacità, e una volta conclusa la lettura si resta
incantati dalla sua grazia semplice e genuina.>>
“The
Observer”
NOTE A
MARGINE
4
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Pain is inevitable. Suffering is optional.
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19
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Già, a cosa penso mentre corro? Se devo essere
sincero, non me lo ricordo nemmeno io. Nei giorni freddi, in una
certa misura penso al freddo. Nei giorni caldi, al caldo. Quando
sono triste, alla mia tristezza, quando sono contento, alla mia
allegria. In una certa misura. Come ho già scritto, mi succede
anche di tornare con la mente ad avvenimenti passati, così, senza
nesso logico. A volte, ma accade di rado, mi vengono delle idee
per i libri che scrivo. Tuttavia posso affermare che non ho
pensieri davvero coerenti. Quando corro, semplicemente corro. In
teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per
raggiungere il vuoto. In quella sospensione spazio-temporale,
pensieri ogni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio
cervello. E' naturale, perchè nell'animo umano non può esistere
il vuoto assoluto. Il nostro spirito non è abbastanza forte per
concepire il nulla, e inoltre non è coerente. Insomma, i pensieri
che si avvicendano nella mia mente mentre corro sono semplicemente
dei derivati del nulla, tutto lì. Si formano ruotando intorno al
nulla. Somigliano alle nuvole che vagano nel cielo. Nuvole di
grandezza e forma diverse che arrivano, e se ne vanno, semplici
ospiti di passaggio. Ciò che resta è soltanto il cielo, che è
sempre lo stesso. Che è qualcosa che esiste, e al tempo stesso
non esiste. Che ha una sostanza e al tempo stesso non ne ha. Noi
non possiamo fare altro che constatare la situazione - l'esistenza
di quell'immenso contenitore - e accettarla.
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21
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Le ferite spirituali non rimarginate sono il
prezzo che gli essere umani devono pagare per la propria
indipendenza.
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RECENSIONE
Libro strano, credo dica molto più su Murakami che sulla corsa. O
almeno io l'ho ricevuto come una sorta di autoanalisi in cui emerge
il ritratto di uno scrittore-maratoneta.
E il sottoporsi a questo
tipo di intensa attività fisica, in cui la fatica è una realtà
ineluttabile, si trasforma nella vita di uno scrittore in una
strategia di sopravvivenza.
Perché la scrittura è un atto creativo che estrapola storie dal nulla, consentendo loro di reggersi su un delicato gioco di equilibri tra frasi e parole. Ma in essa si nasconde soprattutto un’invisibile insidia: la sua sostanziale tossicità.
Scrivere si rivela pertanto un gesto malsano e antisociale, che deve essere eseguito con estrema abilità e circospezione. Ed è di fondamentale importanza trovare il modo di rendersi immuni alla sua pericolosità, neutralizzando quell’elemento tossico sotteso che si rivelerebbe, altrimenti, fatale.
Per Murakami Haruki correre è l’escamotage attraverso cui sfuggire al proprio corrosivo isolamento interiore e agli effetti nocivi della sedentarietà che ne deriverebbe.
L’atto meccanico della corsa, nella sua banale ripetitività, è il mezzo che conduce alla comprensione del significato di tutte le cose che, in condizioni normali, scivolerebbe via inosservato: correre per non pensare a niente, e permettere infine all’intuizione più profonda di emergere dal proprio silenzio interiore.
E’ inevitabile, per l’autore, evidenziare le assonanze che accomunano la corsa e la scrittura: entrambe richiedono un’inconsueta determinazione, una maniacale autodisciplina e la presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità.
E se la scrittura è l’obiettivo ultimo, la corsa ne diverrà il mantra.
Perché la scrittura è un atto creativo che estrapola storie dal nulla, consentendo loro di reggersi su un delicato gioco di equilibri tra frasi e parole. Ma in essa si nasconde soprattutto un’invisibile insidia: la sua sostanziale tossicità.
Scrivere si rivela pertanto un gesto malsano e antisociale, che deve essere eseguito con estrema abilità e circospezione. Ed è di fondamentale importanza trovare il modo di rendersi immuni alla sua pericolosità, neutralizzando quell’elemento tossico sotteso che si rivelerebbe, altrimenti, fatale.
Per Murakami Haruki correre è l’escamotage attraverso cui sfuggire al proprio corrosivo isolamento interiore e agli effetti nocivi della sedentarietà che ne deriverebbe.
L’atto meccanico della corsa, nella sua banale ripetitività, è il mezzo che conduce alla comprensione del significato di tutte le cose che, in condizioni normali, scivolerebbe via inosservato: correre per non pensare a niente, e permettere infine all’intuizione più profonda di emergere dal proprio silenzio interiore.
E’ inevitabile, per l’autore, evidenziare le assonanze che accomunano la corsa e la scrittura: entrambe richiedono un’inconsueta determinazione, una maniacale autodisciplina e la presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità.
E se la scrittura è l’obiettivo ultimo, la corsa ne diverrà il mantra.
Se non altro, fino alla
fine non ho camminato.
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